La voce dei materiali

Da bambino costruivo teatrini e piccole automobili con materiali di scarto trovati per strada: legnetti, fili di ferro ossidato, cartone. Era bello questo gioco e mi perdevo, nessuna colpa ne violava l’incanto. Trascorrevo intere giornate mettendo insieme questi materiali poveri. Un filo di spago legava le ali di cartone d’un piccolo aereo alla sua fusoliera e l’aereo volava, lontano. Nello studio in cui lavoro oggi ci sono gli stessi materiali e mi perdo anche ora, come allora, pur coi limiti dell’età adulta. Non so più avere l’abbandono di quando ero bambino, ma per tentare d provocarlo comincio sempre dal materiale. Senza fretta, mi accosto a un materiale cercando di ascoltare quel che ha da dire. Alcuni materiali sono chiacchieroni, altri parlano poco. Un po’ come i gatti, ciascuno col proprio carattere. Cerco d’intonarmi a questo carattere avendo cura di rispettare le sue caratteristiche fisiologiche. Non mi piace che per dire una cosa se ne neghi un’altra. Non mi piace mai. Si dice una cosa per dire quella cosa, può bastare. Allo stesso modo mi piace dire un materiale per dire solamente quel materiale. Anche questo può bastare. Il cartone è cartone: arido, polveroso, voce rauca; l’acqua lo smembra e il fuoco lo consuma. È bello così, anche per questa vulnerabilità. L’acciaio è nervoso, austero, affidabile. Il ferro è buono, infaticabile e remissivo. La plastica spesso è incompresa. Non è bello che la plastica diventi finta-pelle, finto-legno, finta-plastica. Pur essendo un materiale sintetico ha la fierezza di quelli naturali. Bisogna accostarsi silenziosamente ai materiali, parlano loro. Il legno emette suoni che somigliano a quelli del pane. Anche l’acqua è un materiale. Come gli alberi, una strada, l’orizzonte. La memoria e la nostra esistenza sono materiali.

Graziano Spinosi

Foresta
Filo di ferro · Altezza 5 mt · 2000
Foto Maurizio Nicosia